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Dancalia, la piana del sale


Mentre molto più a nord di qui terminava un’era glaciale, in questa terra il sole scacciò le piogge e arrestò i monsoni. Le acque del mare interno cominciarono così a prosciugarsi. Lentamente il fondale marino emerse, potassio e magnesio cristallizzarono. Trentamila, ventimila anni fa era già tutto finito. Scese il silenzio su questo angolo di Africa. Migliaia e migliaia di anni dopo gli arabi videro quello scintillio, assaggiarono le pietre di quel deserto e ribattezzarano quella terra la Piana del Sale. Il mare scomparso ha lasciato in eredità seicento chilometri quadrati di sale. Non c’è niente nella Piana del Sale. Non un solo albero, non un filo d’erba, non una diversità. E’ il nulla che si fa bello. Un tavolo inclinato che scende dai cinquanta ai centoventi metri sotto il livello del mare. 



La cava è un caos ordinato, un alveare ardente di uomini, sudore, tendini in tiro, occhi iniettati di fatica, ferite che non cicatrizzano. Tutti si muovono, nessuno incerto o immobile. C’è logica e senso in questo lavoro infame. Gli estrattori graffiano con il filo dell’ascia la crosta della banchisa. Si apre una crepa nel tappeto di sale. Usano la lama come se fosse un cuneo. Poi infilano le pertiche nella fessura. E’ lo sforzo di piu’ uomini a cercare di alzare la lastra. I muscoli di cuoio si estendono e si allungano. Braccia e gambe come elastici. La lastra sotto la leva delle pertiche si smuove, si crepa, si spezza. Alla fine viene capovolta. E’ ancora senza forma passa nella mano degli intagliatori.


Gli intagliatori hanno il corpo svitabile, assumono una posizione insostenibile, viso e ginochhia quasi si toccano, il braccio va in su e giù di continuo. Con la loro piccozza tagliano in parallelepipedi il lastrone di sale. Gli estrattori sono quasi sempre tigrini, sono cristiani, gente che è scesa dagli altipiani. Gli afar invece preferiscono scolpire le lastre di sale, sono quasi tutti musulmani. Musulmani e cristiani, in Dancalia, hanno bisogno gli uni degli altri. Oggi un miracoloso equilibrio del deserto sembra garantire la pace del sale. In questa terra si è imparato, fra difficoltà e tensioni, a convivere, a lavorare fianco a fianco sotto un cielo accecante. 

Le lastre intagliate e lavorate vengono caricate sui dromedari, i camion del deserto


Il sale è stato anche moneta in passato: camminando sulla coltre biancastra della Piana del Sale si calpesta un antico forziere, una miniera a cielo aperto che qualsiasi cercatore d’oro avrebbe sognato. Il carico di sale, bisacce, cenci, qualche provvista  sistemati sull collo dell’animale, ancora una volte le carovane diventano orizzonte, gli uomini ombre. Vanno via le carovane. Altre stanno arrivando. Qui, nella Piana del Sale, si ha il senso di una storia sempre uguale. Si va perchè bisogna andare. Perchè un giorno uno scrollone geologico ha deciso di isolare un mare interno. Senza sale non possiamo vivere. I carovanieri devono andare per questo. 

Molte parti del testo sono state ispirate dal bellissimo “Dancalia” di Andrea Semplici, Terre di Mezzo Editore

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