Ci sono montagne che sono soltanto montagne e ci sono montagne che hanno personalità. La personalità di una montagna non è soltanto una strana forma che la rende diversa dalle altre. La personalità consiste nel potere di influenzare gli altri.
Il potere di una tale montagna è tanto grande e tuttavia così sottile che, senza costrizione, la gente vi giunge da ogni dove, come se fosse attirata dalla forza di una calamita invisibile.
Nessuno ha conferito il titolo di luogo sacro a queste montagne, e tuttavia tutti lo riconoscono; nessuno deve organizzarne l’adorazione, perchè la gente è sopraffatta dalla mera presenza di una tale montagna e non può esprimere le proprie sensazioni se non attraverso l’adorazione.
Invece di conquistarla, l’uomo devoto preferisce essere conquistato dalla montagna. Apre l’anima al suo spirito e gli permette di prendere possesso di lui, poichè soltanto chi è ispirato e posseduto dallo spirito divino può partecipare alla sua natura.
Per vedere la grandezza di una montagna, ci si deve tenere a distanza; per capire la sua forma ci si deve girare intorno; per capire i suoi stati d’animo, la si deve vedere all’alba e al tramonto, a mezzogiorno e a mezzanotte, col sole e con la pioggia, con la neve e durante la tempesta.
Ma anche fra le più potenti ce ne sono alcune che hanno un carattere e una posizione così rilevanti da diventare simboli delle superiori aspirazioni dell’umanità, pietre miliari nell’eterna ricerca della perfezione e della realizzazione ultima, segnalazioni che indicano al di là dei nostri interessi terreni l’infinità di un universo dal quale abbiamo tratto origine e al quale apparteniamo.
E così che al di sopra di tutte le montagne sacre del mondo si è diffusa la fama del monte Kailash e ha ispirato gli esseri umani fin da tempi immemorabili. Non c’è altra montagna paragonabile al Kailash, poichè forma il punto centrale delle più importanti civiltà antiche del mondo, le cui tradizioni sono rimaste intatte per migliaia di anni: l’India e la Cina. Sia per gli induisti che per i buddhisti il Kailash è il centro dell’universo.
Da “La Via delle Nuvole Bianche” di Lama Govinda, 1981
Il tetto del mondo, così viene comunemente chiamato l’altopiano tibetano, ma questa definizione non sarebbe di per sè sufficiente a rendere la chiara consapevolezza di sentirsi, davvero, a un passo dall’infinito.
Torno in Tibet cinque anni dopo, trovando ancora più marcata la presenza cinese, intrisa da un’aria di modernità ed efficienza che va di pari passo con l’evidente, violenta, assimilazione culturale. Ma se si va oltre questa cortina di modernizzazione e globalizzazione si sente ancora presente la spiritualità e fede che ha contraddistinto e scandito la vita per secoli, in questi luoghi. Appena si lasciano i sentieri più battuti e ci si inoltra nei luoghi remoti del Tibet occidentale si torna a percepire di essere davvero a un passo dal cielo. Sono tornato in Tibet per percorrere la kora attorno al sacro monte Kailash e rinascere a nuova vita al culmine del Drolma-la, dove si è davvero a un solo passo dal cielo.
Percorreremo i 52 km della kora, il periplo del sacro monte, in tre giorni partendo dalla località di Darchen a 4670 metri di altitudine.
Poco dopo aver iniziato il nostro cammino si incontra il Chorten Kangnyi. Per i pellegrini è di buon auspicio passare attraverso la piccola arcata del chorten.
Ci sentimmo semplicemente come un anello della eterna catena di pellegrini, che da tempi immemorabili viaggiavano per i solitari e pericolosi sentieri di un selvaggio mondo montano e per gli spazi illimitati della regione montuosa tibetana.
Per comprendere pienamente il significato del Monte Kailash e dei suoi straordinari paesaggi non lo si deve vedere soltanto geograficamente, culturalmente o storicamente, ma innanzitutto e soprattutto attraverso gli occhi di un pellegrino. Per farlo, dobbiamo spogliarci degli stretti limiti della nostra personalità e soprattutto dei pregiuduzi intellettuali dell’educazione occidentale. Alcuni pellegrini lo percorrono scalzi, altri prostrandosi a terra a ogni passo.
Ma chi merita tutta la nostra ammirazione sono quei coraggiosi pellegrini che non posseggono altro all’infuori di quanto portato sulle spalle, che viaggiano senza alcuna protezione contro la pioggia e il vento, la neve e le gelide notti.
Essi ritornano al loro paese con occhi luminosi, arricchiti da un’esperienza che per tutta la loro vita sarà una fonte di forza e ispirazione, perché sono stati faccia a faccia con l’Eterno, hanno visto la Terra degli dei.
Da “La Via delle Nuvole Bianche” di Lama Govinda
Il percorso del primo giorno della kora si snoda lungo la valle del Lha-chu.
Dove la valle si restringe si inizia a distinguere in modo chiaro la sagoma del monte Kailash che si staglia sopra il crinale. Si giunge così al secondo punto di prostrazione caratterizzato dalle bandiere di preghiera.
lI tratto finale del percorso regala scenari suggestivi tra alte pareti di roccia sedimentaria, straordinariamente frastagliate le cui forme sembrano animarsi sotto i raggi del sole.
Dopo venti km di cammino a 5000 metri di altitudine arriviamo al Monastero Dira-puk, posto di fronte alla parete nord del Kailash, che segna la fine del primo giorno di ora.
Il secondo giorno di cammino inizia alle prime luci del giorno, in un’atmosfera resa magica e misteriosa dalla nebbia e con la tensione delle grandi difficoltà che ci attendono lungo il cammino
Prima di iniziare la parte più difficile e dura della kora, quella che su una pietraia sale verso il Drolma-la a 5640 m di altezza, sorge la distesa rocciosa dello Shiva-tsal. Qui si dice che i pellegrini sperimentino una morte simbolica, entrando nel regno del Signore della Morte, fino al momento in cui raggiungono la vetta del Drolma-la per rinascere. E’ consuetudine depositare qualcosa sullo Shiva-tsal, un indumento, una goccia di sangue, una ciocca di capelli, per simboleggiare l’atto di lasciarsi alle spalle la vita precedente.
La parte finale della durissima salita al Drolma-la, nella nebbia e nel nevischio, segna per i pellegrini l’abbandono della vita precedente e dei suoi peccati.
C’è qualcosa di simbolico nell’arrivare in cima al valico del Drolma-la, a 5640 metri sul livello del mare, al di sopra delle nubi, dopo aver attraversato nebbia e nevischio, ed essere accolti dal sole splendente, lì dove i pellegrini rinascono a nuova vita e, grazie a Drolma (Tara), dea della compassione, ottengono il perdono per i peccati commessi.
Appena sotto il Drolma-la, punto più alto della kora, Il Lago della Compassione. Qui, per completare il rituale, i pellegrini indù si immergono nelle acque verdi del lago.
Una ripida discesa ci allontana dal Drolma-la, in alcuni punti il sentiero attraversa distese di neve.
Il sentiero che piega lungo la parete orientale del Kailash attraversa ora la valle del Lham-chu Khir con alcuni distese erbose che invitano al riposo.
Stremati dal lungo cammino, 18 km, e, soprattutto, dal dislivello che ci ha condotto ai 5640 metri del Drolma-la, il secondo giorno di cammino si conclude in una semplice guesthouse dove passeremo la notte.
L’ultimo giorno della kora è il più semplice. Dobbiamo percorrere 14 km con un leggero dislivello in discesa. E’ il momento in cui i piedi viaggiano leggeri e la mente rivive le emozioni vissute.
Arriviamo alla fine del nostro cammino di 52 km attorno al Monte Kailash insieme ad alcune pellegrini che lo hanno percorso interamente in più giorni, prostrandosi a ogni passo.
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