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I guerriglieri riluttanti


Viaggiare è un dono che ti dà l’opportunità di scoprire luoghi e vicende poco note, di farti essere, nel tuo piccolo, testimone della Storia e di condividere momenti di grande emozione e umanità. 

Abbiamo incontrato un gruppo di ex guerriglieri nella regione del Petén, nel nord del Guatemala. Una regione ricoperta da una fitta giungla tropicale, che ancora oggi nasconde i resti della civiltà maya, che si estende fino al confine con il Messico. Nel Petén  hanno agito le forze del Far (Frente Norte de las Fuerzas Armadas Rebeldes), l’ultimo avamposto della guerriglia ad arrendersi nel 1996 firmando, dopo 36 anni di guerra civile, gli accordi di pace.


Il Guatemala ha un destino comune tra i paesi dell’America Latina: sfruttamento coloniale da parte delle potenze europee prima e, una volta raggiunta l’indipendenza, oppressione dei governi locali, dietro cui si stendeva la lunga mano dell’imperialismo americano. E, come quasi sempre accaduto in questi paesi, il conflitto tra il tentativo di autodeterminarsi della popolazione e gli interessi politici finanziari dei governi, controllati dalle intelligence straniere, ha portato a una lunga e sanguinosa guerra civile.  La guerra civile in Guatemala ha causato oltre 200.000 morti, diverse centinaia di migliaia di sfollati, nonché innumerevoli atti di violenza e violazione dei diritti umani che colpirono soprattutto la popolazione più povera e vulnerabile fatta di nativi e contadini. 

All’indomani degli accordi di pace un gruppo di ex guerriglieri del Petén cercarono un posto dove ricominciare a vivere. E così formarono la Cooperativa Nuevo Horizonte, nella regione di Santa Ana, che abbiamo avuto il privilegio di visitare.

La parte più emozionante della nostra visita è stato l’incontro con Rony, un uomo dall’aspetto mite che si  fatica a immaginare come un feroce guerrigliero, che ci ha fatto dono di un lungo racconto di quei tempi. Gli uomini e le donne che oggi costituiscono la cooperativa, circa 500 persone in tutto, si unirono alla guerriglia non appena iniziarono i primi massacri ed espropri di terra dei contadini da parte dell’esercito durante gli anni ’70. Molte persone videro infatti la guerriglia come unica possibilità di sopravvivenza per salvare la propria vita e quella dei propri cari.

Ascoltare i racconti di Rony è stato davvero emozionante, dopo ormai venti ann,i e davanti a un piccolo gruppo di sconosciuti come il nostro, conserva ancora la capacità di emozionarsi durante il racconto di quei tempi difficili, con gli occhi umidi mentre parla dei valorosi compagni e fratelli persi nella lotta.

Nelle sue parole è pero presente anche una grande amarezza di fondo perché poco è cambiato. Alla fine della guerra l’esercito ha continuato a mantenere la sua struttura e l’oligarchia a governare il Guatemala; la guerra non è finita, ha solo cambiato forma e la lotta armata si è trasformata in una lotta diversa, di tipo politico, volta al rispetto dei diritti umani di tutti i guatemaltechi con l’obiettivo di garantire l’educazione a tutti i bambini, soprattutto a chi vive nelle zone meno accessibili e rurali, il diritto alla salute, a una casa, all’acqua potabile, alla terra e, soprattutto, a una vita dignitosa.


Passeggiando per la comunità risulta evidente il tentativo di conservare la memoria e di educare le nuove generazioni attraverso il forte impatto scenico dei murales. Quello che mi ha colpito di più riporta una bellissima e significativa frase, che tradotta dallo spagnolo recita. “Tante piccole persone, in tanti piccoli luoghi, facendo molte piccole cose, possono cambiare il Mondo”. Una sorta di manifesto della comunità.

Molti murales riportano immagini classiche delle lotte dei popoli dell’America Latina contro il neo colonialismo di matrice statunitense.


Altri murales richiamano personaggi storici che si sono battuti per l’autodeterminazione dei popoli latinoamericani, da Jose Martì, a Hugo Chavez a, naturalmente, il Che.


E altri inneggiano allo spirito della Rivoluzione:  “essere giovani e non essere rivoluzionari è una contraddizione ideologica“.


Al di là della matrice rivoluzionaria originaria, la gestione ecologica e comunitaria della Terra ha un ruolo centrale nella comunità, il sentiero al Bosco della Vita permette di raggiungere la laguna, utilizzata per l’allevamento di pesci, e di passare acconto aI millenari alberi di Ceiba.

Il Ceiba, l’albero della vita, considerato sacro già nella mitologia delle civiltà precolombiane, in particolare dai Maya, che li dipingevano con le loro radici e la loro chioma che collegavano il cielo, la terra e l’oltretomba.


All’interno della comunità molta attenzione è dedicata all’istruzione scolastica, anche questa organizzata in maniera autonoma rispetto allo Stato centrale, con molta attenzione all’insegnamento di valori sociali, ecologici e comunitari e di conservazione delle origini native.


È  difficile immaginare cosa riserverà il futuro ai bambini e ragazzi che abbiamo incontrato all’interno della comunità, e come questa sopravviverà alle immancabili pressioni esterne che tenderanno a normalizzarla. In questo breve lasso di tempo in cui si sono trovati e si trovano ad operare sicuramente sono la dimostrazione tangibile del loro manifesto “Tante piccole persone, in tanti piccoli luoghi, facendo molte piccole cose, possono cambiare il Mondo”, e dell’altro bellissimo messaggio “Libera la Mente, libera la Gente”

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